UN  VESCOVO  TOTALMENTE  IMPREGNATO  NELLA  PAROLA  BIBLICA

Commentando le Scritture, Ambrogio traccia un percorso di spiritualità

 

1. Ambrogio e le Scritture

Le Scritture sono sempre presenti nelle omelie e negli scritti di Ambrogio (Gérard Nauroy): "Ormai egli "parla la Bibbia", non più con la giustapposizione di citazioni dagli stili più diversi, ma in un discorso sintetico, eminentemente allusivo, "misterico" come la Parola biblica stessa".

Questa "invasione" biblica nasce dalla convinzione che, leggendo le Scritture, si legge Cristo:

 

Bevi per prima cosa l'Antico Testamento, per bere poi anche il Nuovo Testamento. Se non berrai il primo, non potrai bere il secondo. Bevi il primo per mitigare la sete, bevi il secondo per raggiungere la sazietà. Nell'Antico Testamento c'è l'afflizione, nel Nuovo la letizia... Il Signore Gesù fece sgorgare l'acqua dalla roccia e tutti bevvero (cfr. Es 17,6; 1Cor 10,4). Quelli che la bevvero nella figura furono sazi; quelli che la bevvero nella verità, furono inebriati. Buona è l'ebbrezza che infonde letizia e non arreca smarrimento! Buona è l'ebbrezza che rinsalda i passi di una mente sobria! Buona è l'ebbrezza che irriga il terreno della vita eterna che ci è stato donato! Bevi dunque questo calice, di cui il profeta ha detto: "Che meraviglia il tuo calice, che dà l'ebbrezza" (Sal 22,5)... Bevi dunque tutt'e due i calici, dell'Antico e del Nuovo testamento, perché in entrambi bevi Cristo. Bevi Cristo, che è la vite (cfr Gv 15,1.5); bevi Cristo, che è la pietra che ha sprizzato l'acqua (cfr Es 17,4-6); bevi Cristo, che è la fontana della vita (cfr Sal 35,10); bevi Cristo che è il fiume la cui corrente feconda la città di Dio (cfr Sal 45,5); bevi Cristo che è la pace (cfr Ef 2,14); bevi Cristo, dal cui seno sgorgano fiumi d'acqua viva (cfr Gv 7,38); bevi Cristo, per bere il sangue da cui sei stato redento (cfr Ap 5,9); bevi Cristo, per bere il suo discorso! Il suo discorso è l'Antico Testamento, il suo discorso è il Nuovo Testamento. La Scrittura divina si beve, la Scrittura divina si divora, quando il succo della parola eterna discende nelle vene della mente e nelle energie dell'anima: così "non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola di Dio" (Lc 4,4) (Ambrogio, Commento al salmo 1, 33: SAEMO 7, pp.79,81).

 

Ambrogio vuole nutrire la sua comunità delle Scritture e insegnare loro ad accostarsi ad esse:

 

Perché non dedicare alla lettura il tempo che il ministero ti lascia libero? Perché non visitare ancora una volta Cristo, parlargli, ascoltarlo? Parliamo con lui quando lo preghiamo; lo ascoltiamo quando leggiamo gli scritti ispirati da Dio. Che abbiamo in comune con le case degli altri? Una è la casa che accoglie tutti. Vengano piuttosto da noi quelli che ci cercano. Che abbiamo a che fare con le vane chiacchiere? Ci è stato assegnato il compito di servire gli altari di Cristo, non di rendere ossequio agli uomini (Ambrogio, I doveri, I, 88: SAEMO 13, p. 77).

 

L'incontro con le Scritture deve essere preparato e alimentato dal desiderio: è il desiderio dello sposo (Cristo) da parte della sposa (la Chiesa e ciascun fedele).

 

"Si sono consunti i miei occhi nell'attesa del tuo detto, chiedendosi: "Quando mi consolerai?" (Sal 118,82). Che cosa significa: consunzione degli occhi? Vogliamo parlare di realtà corporali per fare intendere quelle spirituali. Non è vero forse che, quando desideriamo e speriamo l'arrivo di qualcuno, noi teniamo gli occhi fissi verso il punto da dove ci aspettiamo la sua venuta? E così noi li consumiamo nella lunga tensione d'una quotidiana attesa. In questo modo Anna scrutava la via e spiava l'arrivo del figlio, vegliando preoccupata (cfr. Tob 10,7). In questo modo il profeta Davide, da padre premuroso, poneva vedette sulla torre nell'impazienza di sentire da quel messo, che veniva di corsa dalla battaglia, notizie sulla salvezza del figlio (cfr. 2Sam 18,24). In questo modo la giovane sposa dalla duna sulla riva aspetta con attesa instancabile l'arrivo dello sposo e, a ogni nave che scorge, si illude che a bordo si trovi il consorte e teme che sia un altro ad aver prima di lei il piacere di vedere l'amato e di non essere lei la prima a dire: "Ti ho visto, marito!". Come Anna che diceva al figlio: "Ti ho visto, o figlio, ora potrò morire contenta" (Tob 11,15): cioè senza provar dolore della morte per la dolcezza della visione agognata. Dunque, come quella donna che desidera farsi trovare in attesa all'arrivo del marito e mette da parte tutte le sue occupazioni domestiche per osservare i sentieri battuti dal viandante e le impronte dei passi, così il profeta [il salmista] abbandonava tutte le preoccupazioni di questo tempo e, da custode sempre all'erta, teneva fisso lo sguardo degli occhi interiori, in vista della parola di Dio, fino alla sua consunzione; riduceva il suo corpo in schiavitù (cfr. 1Cor 9,27) ed educava la sua anima alla sopportazione dell'umiltà, come un ragno che si assottiglia (cfr. Sal 38,12). Come un cervo anela alle fonti delle acque egli era desideroso e assetato del Signore Dio suo (cfr. Sal 41,2): desideroso di vedere la sua presenza, di comparire davanti al cospetto di Dio e, consunto dallo smisurato desiderio e dalla passione amorosa, allora egli osava immaginare di essere - in virtù del carisma profetico - più capace di conseguire quelle mete che aveva domandato al Signore. Anche noi, allora, rivolgiamo il nostro cuore all'obiettivo di comprendere lo svolgimento delle Scritture e invochiamo da Dio che venga su di noi la Parola e il dono dell'intelligenza. Se qualcuno da lontano ha scorto con lo sguardo dell'intelletto, in modo non ancora chiaro e distinto, la Parola di Dio, costui discerne con occhi interiori la nave della Parola accostarsi alle rive della propria anima. Ma quanto più distintamente comincerà a vedere, tanto più si affretterà a dirigersi verso quell'approdo della verità, per essere il più vicino possibile a farne il carico (Ambrogio, Commento al Salmo 118, XI, 9: SAEMO 9, pp. 457,459).

 

L'incontro con le Scritture deve poi compiersi in una grande fiducia, perché Cristo si fa aiuto:

 

Dio insegna, e illumina l'intelletto di ciascuno e vi infonde la luminosità della conoscenza, perché si apra la bocca del proprio cuore e si accolga la luminosità della grazia celeste. E quando tu fossi afferrato dal dubbio dovresti indagare con scrupolosità, perché "chi cerca trova e a chi bussa viene aperto" (Mt 7,8). Grande è l'oscurità delle Scritture profetiche! Ma se tu bussassi con la mano del tuo spirito alla porta delle Scritture e se esaminassi con scrupolosità ciò che vi è nascosto, a poco a poco cominceresti a raccogliere il senso delle parole, e ti sarebbe aperto non da altri, ma dal Verbo di Dio. Di lui hai letto nell'Apocalisse (cfr. 5,1-5): l'Agnello ha aperto il libro sigillato, che nessuno prima era riuscito ad aprire, perché solo il Signore Gesù nel suo Vangelo ha tolto il velo degli enigmi profetici e dei misteri della Legge; egli solo ci ha fornito la chiave del sapere e ci ha dato la possibilità di aprire (Ambrogio, Commento al Salmo 118, VIII, 59: SAEMO 9, p.375).

 

L'incontro con le Scritture esige infine una prolungata ruminazione, per un'assimilazione vitale:

 

Resta ora da parlare dell'orazione ininterrotta e continua, del fatto che bisogna rimanere in preghiera e  dedicarsi sempre ad essa (cfr. Lc 18,1.; 1Tess 5,17). Il Signore passava la notte in preghiera, non per giovare a sé stesso, ma per dare a noi un insegnamento. Infatti la preghiera frequente produce una certa qual disciplina nel pregare, poiché la stessa consuetudine ci rende docili a Dio: pertanto un esercizio di tal genere è cosa buona. Del resto anche il vigore del corpo è accresciuto dall'esercizio frequente, mentre diminuisce e languisce se non è tenuto in attività. Infatti con la mancanza di allenamento molti distruggono anche la loro prestanza naturale. In egual maniera la fortezza dell'animo si rafforza con l'assiduità dell'esercizio, così che l'impegno della disciplina non sarà motivo di fatica gravosa, ma di consuetudine vantaggiosa. Procuriamo alla nostra mente questo cibo che, triturato e reso farinoso da una lunga meditazione, dia forza al cuore dell'uomo, come la manna celeste: cibo che non abbiamo ricevuto già triturato e farinoso, senza aver fatto fatica. Perciò è necessario triturare e rendere farinose le parole delle Scritture celesti, impegnandoci con tutto l'animo e con tutto il cuore, affinché la linfa di quel cibo spirituale si diffonda in tutte le vene dell'anima (Ambrogio, Caino e Abele, II, 6, 22: SAEMO 2, p.283).

Buoni pascoli sono le parole delle Scritture celesti, nelle quali pascoliamo con una lettura quotidiana, nelle quali troviamo nutrimento e ristoro quando ne assaggiamo il testo oppure quando lo ruminiamo più e più volte, dopo averlo delibato col palato (Ambrogio, Commento al Salmo 118, XIV, 2: SAEMO 10, p.87).

 

2. Il commento ai sei giorni della creazione

(cfr. C. Pasini, La bellezza del creato e la redenzione di Dio, Milano, Centro Ambrosiano, 2006).

Ambrogio dedica al commento dei sei giorni della creazione (nel primo capitolo della Genesi) nove omelie tenute, raccolte nel suo Esamerone (exaémeron, "di sei giorni").

All'inizio si afferma Dio creatore, con il Figlio che collabora con la sua potenza e sapienza:

 

La parola di Dio è potenza della natura e durata della sua sostanza, finché la voglia sussistente colui che l'ha costituita come sta scritto...: "Perché egli parlò e cielo e terra furono fatti, comandò, e furono creati; li ha stabiliti per sempre in eterno; ha dato loro un ordine e non sarà violato" (Sal 148,5-6)? O il Creatore non ti sembra in grado di dare una legge alla sua opera? È Dio che parla, Essere di natura adorabile, di grandezza inestimabile, senza limiti nelle sue ricompense: chi sarebbe in grado di scrutare la profondità della sua sapienza? Ma parla al Figlio, cioè al suo braccio, parla alla sua potenza, parla alla sua sapienza, parla alla sua giustizia. E il Figlio agisce come chi è potente, agisce come chi è la potenza di Dio, agisce come chi è la sapienza di Dio, agisce come chi è la giustizia divina. Quando ascolti queste parole, perché ti meravigli se l'acqua poté essere sospesa sopra il firmamento celeste in seguito all'azione di una così eccelsa maestà? (Ambrogio, I sei giorni della creazione, III, 3, 10: SAEMO 1, p.93).

 

Un esempio sull'ironia di Ambrogio: iniziando la quarta omelia sul terzo giorno della creazione, quando l'acqua si raccoglie obbediente secondo il comando di Dio, il vescovo si domanda se il popolo è altrettanto pronto quando deve raccogliersi in assemblea: meno male che almeno oggi sono venuti pronti e numerosi!

 

Dio disse: "L'acqua che è sotto il cielo si raccolga in un solo luogo, (Gen 1,9). Da questo passo mi piace prendere l'avvio. "Si raccolga l'acqua", è stato detto, e si raccolse; spesso anche si dice: "Si raccolga il popolo", ma non si raccoglie. Non è poca vergogna che gli elementi insensibili obbediscano al comando di Dio e che invece non obbediscano gli uomini i quali hanno ricevuto la ragione dallo stesso loro Creatore. E forse questo senso di vergogna ha fatto sì che oggi vi radunaste più numerosi, perché non avvenisse che anche oggi, nel giorno in cui l'acqua si è raccolta in un sol luogo, il popolo non si vedesse affatto raccolto nella chiesa del Signore (Ambrogio, I sei giorni della creazione, IV, 1, 1: SAEMO 1, p.111).

 

Ambrogio ha una particolare sensibilità per l'acqua e il mare e i pesci.

Qui troviamo tutta la sua maestria poetica nel descriverci la bellezza e l'utilità del mare.

 

Dio vide dunque che il mare era una cosa buona (cfr Gn 1,10). Certo, questo elemento offre uno spettacolo magnifico o quando biancheggia per il sollevarsi della massa d'acqua e delle onde che si frangono, e gli scogli grondano di bianchi spruzzi, o quando, se la sua superficie s'increspa dolcemente al soffio di venti più miti, presenta il cupo colore cangiante di una serena bonaccia, che spesso abbacina la vista di coloro che lo contemplano da lontano, allorché non percuote i lidi all'intorno con flutti violenti, ma quasi li abbraccia e li saluta con amplessi apportatori di pace - quale dolce suono, quale giocondo scroscio, quale gradita e armoniosa risonanza -. E tuttavia io penso che la bellezza di questa creatura non sia stata valutata dal piacere che offre alla vista, ma piuttosto definita del tutto corrispondente all'intenzione del Creatore in rapporto alla ragione dell'opera creatrice. Il mare è dunque un bene, anzitutto perché alimenta con l'umidità necessaria la terra, alla quale somministra occultamente attraverso alcuni meati un succo non privo certo di utilità; è un bene il mare perché è il luogo di raccolta dei fiumi, la fonte delle piogge, lo sfogo delle alluvioni, la via dei commerci. Mediante il mare popoli lontani stabiliscono reciproche relazioni, si allontana il pericolo di guerre, si arresta il furore dei barbari; il mare è aiuto nelle necessiti rifugio nei pericoli, attrattiva nel sollievo, salute nella malattia, mezzo di unione per i lontani, via diretta per i viaggi, evasione per chi è affaticato, riserva delle entrate, alimento nella carestia. Dal mare la pioggia si riversa sulla terra, poiché dal mare l'acqua viene assorbita dai raggi solari e ne vien fatta evaporare la parte più tenue; poi, quanto più in alto sale, tanto più si raffredda, anche per l'ombra delle nubi, e si trasforma in pioggia che non solo mitiga l'aridità del suolo, ma anche feconda i campi sterili (ivi, IV, 5, 21-22: SAEMO 1, pp.131,133).

 

Chi guarda bene, nella creazione vede all'opera la Provvidenza di Dio, che, ad esempio, ha un occhio di riguardo verso gli animali difesi per tempo dall'egoismo umano:

 

Se per l'azione delle acque irrigue le messi sono più rigogliose, se le fave diventano verdi e la molteplice bellezza dei giardini sorge e si rinnova, se le sponde dei fiumi che straripano si adornano di bordi verdeggianti, come, alla parola del Signore che trabocca più copiosa d'ogni corso d'acqua, a un tratto fiorirono tutte le piante create! I campi si affrettarono a produrre le messi non seminate e a far germogliare ignote specie di erbaggi e di fiori meravigliosi, le rive dei fiumi a rivestirsi di mirteti, gli alberi si affrettarono a crescere rapidamente, a ricoprirsi rapidamente di fiori, a somministrare il vitto agli uomini, la pastura al bestiame. Tutte le piante hanno il loro frutto, a tutte fu assegnato un loro uso particolare. Nello stesso tempo gli alberi con la loro vegetazione ci offrirono sia un mezzo per sfamarci che un mezzo per difenderci dal sole alla loro ombra ristoratrice - il cibo con i loro frutti, il ristoro con le loro foglie -. Tuttavia poiché la Provvidenza del Creatore non ignorava che l'avidità degli uomini avrebbe preteso i frutti specialmente per sé, provvide agli altri animali dando loro un cibo particolare. Per questo essi hanno un cibo abbondante nelle foglie e nelle cortecce selvatiche (ivi, V, 16, 65: SAEMO 1, p.181).

 

Nel quarto giorno vengono creati sole, luna e stelle: Ambrogio prende l'occasione per parlare dell'astrologia e per dare una strigliata agli oroscopi.

 

Essi affermano che grande è l'influenza della nascita, che bisogna coglierla in taluni brevi e precisi spazi di tempo e che, se non si coglie con molta esattezza, la differenza è enorme: la nascita di un poveraccio e di un gran signore, di un indigente e di un ricco, di un innocente e di un colpevole distano fra loro di un breve attimo, di un fuggevole istante, e spesso nella medesima ora vengono generati uno destinato alla longevità e uno che dovrà morire nella prima fanciullezza, se le altre circostanze sono diverse e presentano qualche minima differenza. Mi rispondano però come possano ricavare tutto questo. Supponiamo che una donna partorisca: l'ostetrica naturalmente è la prima a rendersene conto, attende il vagito dal quale si comprende che il neonato è vivo, osserva se è maschio o femmina. Quanti momenti supponi trascorrano tra queste operazioni? Metti pure che sia lì pronto un astrologo. Forse un uomo può assistere a un parto? Mentre l'ostetrica lo informa, il Caldeo [l'astrologo] ascolta e predispone l'oroscopo: e già il destino del neonato è trasmigrato nella sorte di un altro. L'indagine riguarda uno e si dà invece l'oroscopo di un altro (ivi, VI, 4, 15: SAEMO 1, pp.203,205).

Dicono che sarà liberale chi è nato sotto il segno dell'Ariete, perché questo si spoglia della propria lana senza opporre resistenza, e preferiscono attribuire una simile virtù alla natura di un vile animale piuttosto che al cielo dal quale per noi risplende il sereno e spesso cade la pioggia; dicono che saranno laboriosi e disposti a servire quelli che alla loro nascita il Toro ha guardato, perché questo laborioso animale spontaneamente sottopone il collo alla servitù  accettando il giogo; colui che alla sua nascita lo Scorpione ha accolto nella propria zona, sarà facile a spargere sangue e pronto a vomitare il veleno della malvagità, perché si tratta di un animale velenoso. Perché dunque affermi che, riferendoti a creature così eminenti come le costellazioni celesti, intendi offrire un modello di vita, mentre poi trai un sostegno per la tua asserzione da ciance senza valore? (ivi, VI, 4, 15: SAEMO 1, pp. 207,209).

 

L'astrologia, a rigore, conduce all'irresponsabilità: meno male che i lavoratori sono più "sani", e si danno da fare mettendo a frutto le loro capacità e sconfessando nei fatti l'astrologia!

 

Se le nostre azioni devono essere fatte risalire al destino della nostra nascita e non a una norma morale, perché si stabiliscono leggi, si promulgano decreti che comminano pene ai malvagi e garantiscono sicurezza agli innocenti? Perché non si concede il perdono ai colpevoli dal momento che, appunto come essi  affermano, hanno commesso i loro misfatti non per loro libera scelta, ma costretti dal destino? Perché il contadino s'affatica e non attende piuttosto di portare al sicuro nel granaio, per la prerogativa della sua nascita, i prodotti che non ha coltivati? Se è nato con il destino di avere senza lavoro ricchezze a iosa, attenda senz'altro che la terra gli produca, senza bisogno di semi, frutti spontanei, non affondi il vomere nel terreno, non impugni la falce ricurva, non affronti la spesa di raccogliere l'uva; ma torrenti di vino, di loro iniziativa, si riverseranno nelle sue giare, e la bacca dell'olivo selvatico, senza essere stata innestata, trasuderà l'olio spontaneamente. Né, attraversando il vasto mare, il mercante angosciato tema per la propria incolumità, perché, anche se resta inattivo, per il felice destino della sua nascita, come dicono, potrebbe piovergli addosso un tesoro. Ma questo non è il parere di tutti. Alla fin fine il contadino senza darsi tregua traccia i solchi nella terra affondando l'aratro, nudo ara, nudo semina, nudo trebbia sull'aia sotto il sole torrido il grano abbrustolito dal calore estivo; e il commerciante, impaziente d'indugio, sfidando i venti, solca il mare, per lo più su un naviglio malsicuro (ivi, VI, 4, 19: SAEMO 1, p.213).

 

La luna è invece simbolo della Chiesa, che riceve luce e vita dal suo fratello il sole, che è Cristo!

 

La luna ha proclamato il mistero di Cristo. Non è di scarso pregio l'astro in cui egli (Cristo) ha posto una sua raffigurazione, non di poco valore l'astro che è simbolo della Chiesa a lui cara... E veramente come la luna è la Chiesa che ha diffuso la sua luce in tutto il mondo e, illuminando le tenebre di questo secolo, dice: "La notte è avanzata, il giorno è vicino" (Rom 13,12)... Spingendo lontano il suo sguardo, la Chiesa, come la luna, spesso scompare e rinasce, ma per effetto di queste sue scomparse è cresciuta e ha meritato di ingrandirsi, mentre sotto le persecuzioni si rimpiccioliva e dal martirio dei confessori veniva incoronata. Questa è la vera luna che dalla luce perenne di suo fratello [il Sole, Cristo] deriva il lume dell'immortalità e della grazia. La Chiesa rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo e prende il proprio splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). Veramente beata sei tu, o luna, che hai meritato una così invidiabile distinzione! Perciò ti potrei dire beata non per i tuoi noviluni, ma perché sei simbolo della Chiesa: là sei serva, qui sei oggetto d'amore (Ambrogio, ivi, VI, 8, 32: SAEMO 1, p.231).

 

Anche gli animali sono modello di vita con il loro comportamento.

Un delicato esempio dedicato all'usignolo, con al centro l'affetto per i propri piccoli:

 

Che dire dell'usignolo che, sentinella vigile, quando attende a covare le uova col calore del suo seno, conforta l'insonne fatica della lunga notte con la soavità del suo canto? Mi sembra ch'esso si sforzi soprattutto d'infondere la vita nelle uova che sta covando non meno con la particolare dolcezza della melodia che con il calore del suo corpo. Sul suo esempio la donna povera ma onesta, facendo girare a forza di braccia la pietra scalpellata della macina, perché non manchi il nutrimento del pane ai suoi bambini, con il canto notturno lenisce il tormentoso pensiero della povertà e, sebbene non possa imitare la dolcezza dell'usignolo, tuttavia ne imita il sollecito affetto (ivi, VIII, 24, 85: SAEMO 1, p.335).

 

Infine la pagina conclusiva, dedicata al riposo di Dio, quando al sesto giorno ha creato l'uomo.

Dio riposa nell'uomo, perché l'uomo può intrattenersi con lui corrispondendo e appagandolo.

Dio infatti riposa nella relazione con la sua creatura, nell'amore per la sua creatura.

Ma allora questo riposo si apre a quella pienezza di relazione che giunge sino al perdono, all'amore che si dona totalmente: e il riposo di Dio viene a coincidere con il riposo di Cristo in croce, e la creazione è dall'inizio spalancata sulla redenzione di Cristo.

 

Ma ormai è tempo di porre fine al nostro discorso, perché è finito il sesto giorno e si è conclusa la creazione del mondo con la formazione di quel capolavoro che è l'uomo, il quale esercita il dominio su tutti gli esseri viventi ed è come il culmine dell'universo e la suprema bellezza d'ogni essere creato. Veramente dovremmo mantenere un reverente silenzio, poiché il Signore si riposò da ogni opera del mondo.Si riposò nell'intimo dell'uomo, si riposò nella sua mente e nel suo pensiero; infatti aveva creato l'uomo dotato di ragione, capace d'imitarlo, emulo delle sue virtù, bramoso delle grazie celesti. In queste sue doti riposa Iddio che ha detto: "O su chi riposero, se non su chi è umile, tranquillo e teme le mie parole?" (Is 66,1.2).

Ringrazio il Signore Dio nostro che ha creato un'opera così meravigliosa nella quale trovare il suo riposo. Creò il cielo, e non leggo che si sia riposato; creò la terra, e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non leggo che nemmeno allora si sia riposato; ma leggo che ha creato l'uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati. O forse già allora si preannunciò il mistero della futura passione del Signore, col quale si rivelò che Cristo avrebbe riposato nell'uomo, egli che predestinava a se stesso il riposo in un corpo umano per la redenzione dell'uomo, secondo quanto egli stesso affermò: "Io dormii e riposai e mi levai, perché il Signore mi ha accolto" (Sal 3,6). Infatti lo stesso Creatore si riposò (ivi, IX, 10, 75-76: SAEMO 1, pp.417,419).

 

3. La Chiesa sposa e le nozze con Cristo sposo

Al cuore della spiritualità di Ambrogio sta la figura di Cristo sposo; l'esperienza spirituale si configura come incontro e unione della sposa con il Cristo sposo: la sposa è sia la Chiesa sia, nella Chiesa, ciascuna "anima ecclesiastica" (cioè ciascun fedele).

Si rileva questa trama in alcuni scritti, in particolare nel Commento al salmo 118 dove Ambrogio accosta al salmo anche il Cantico dei cantici: cioè il cammino della Legge porta a Cristo che è compimento della Legge, e si esprime come esperienza di relazione con lui, verso l'unione sponsale.

Il cammino prende avvio dal desiderio della Chiesa, già manifestato agli inizi della creazione: la Chiesa-fidanzata è desiderosa delle nozze, che si compiono quando il Verbo viene e si fa uomo:

 

Immagina una donna, da molto tempo fidanzata e giustamente ardente d'amore. Immagina che ella abbia saputo, da affermazioni di testimoni credibili, di molte e grandi imprese compiute dal suo amato. Immagina che ella sia stata più volte delusa dal rinvio dei suoi sogni e che non sia più in grado di sopportare altri indugi, lei che tutto aveva fatto per vedere il fidanzato. E immagina che un bel giorno abbia visto realizzate le sue aspirazioni. Ella, eccitata dall'inaspettato arrivo del fidanzato, non sta a cercare approcci cerimoniosi né scambia convenevoli, ma corre a pretendere la realizzazione dei suoi sogni.Fa così anche la santa Chiesa. Essa che, (promessa) sposa nel paradiso, alle origini del mondo, prefigurata nel diluvio, annunciata tramite la Legge, chiamata per mezzo dei profeti, aveva così a lungo atteso la redenzione degli uomini, la bellezza del vangelo, l'arrivo dell'Amato, ecco che ora rompe ogni indugio e si precipita ai baci, esclamando: "Mi baci col bacio della sua bocca" (Cant 1,2) (Ambrogio, Commento al Salmo 118, I, 4: SAEMO 9,65).

 

Tuttavia l'ingresso nel talamo nuziale, l'unione con lo Sposo, la consumazione delle nozze non coincidono con l'incarnazione: le nozze si celebrano sulla croce!

 

"Attiraci a te! Correremo sulla scia profumata dei tuoi balsami. Il re mi ha introdotto nella sua stanza intima" (Cant 1,4)... L'introduzione - da parte del re - nella sua stanza intima viene a significare il tempo della Passione, il colpo inferto al costato, lo spargimento del sangue, il balsamo della sepoltura, il mistero della Risurrezione. Ne consegue che la Chiesa ha ricevuto quel bacio come fosse già una sposa (promessa), ma è stata introdotta nella stanza intima di Cristo non più e non solo come sposa promessa, bensì anche come già sposata. Ella infatti non solo è entrata nella stanza nuziale, ma ha anche ottenuto le chiavi di un legittimo rapporto nuziale (Ambrogio, Commento al Salmo 118, I, 16: SAEMO 9, p.79).

 

4. La sobria ebbrezza dello Spirito

L'esperienza spirituale del credente si esprime in sintesi nella "sobria ebbrezza dello Spirito".

 

Sta scritto: "Hai preparato al mio cospetto una mensa" (Sal 22,5). In questa mensa c'è pane vivo, cioè il Verbo di Dio (cfr. Gv 6,51)... C'è anche quel calice "così meraviglioso" che dà l'ebbrezza, o anche "così efficace"..., perché lava le infamie e le cancella. Buona è dunque l'ebbrezza del calice di salvezza. Ma c'è un'altra ebbrezza, che proviene dalla sovrabbondanza delle Scritture, e c'è un'altra ebbrezza, che si opera tramite la penetrante pioggia dello Spirito Santo. E così quelli che negli Atti degli Apostoli parlavano lingue diverse, sembra agli ascoltatori che fossero pieni di vino (cfr. At 2,4.13). La casa dunque è la Chiesa; l'abbondanza della casa è il traboccare delle grazie; il torrente della delizia è lo Spirito Santo (Ambrogio, Commento al salmo XXXV, 19: SAEMO 7, pp. 135,137).

 

L'ebbrezza accomuna la realtà eucaristica, che permette l'incontro trasformante con Cristo, la realtà scritturistica, che è incontro con la Parola che è Cristo, e la realtà santificante, che attua l'infusione dello Spirito.

Ecco una pagina sull'ebbrezza dell'eucaristia (una pagina sulla parola è già stata letta sopra):

 

(Nel pane eucaristico) non c'è amarezza, c'è invece ogni soavità... (E quando bevi il vino dell'eucaristia, provi) una gioia tale che non può essere contaminata dalla sozzura di nessun peccato. Ogni volta che tu bevi, ricevi la remissione dei peccati e t'inebri dello Spirito.

Perciò anche l'apostolo dice: "Non ubriacatevi di vino, ma siate ricolmi dello Spirito" (Ef 5,18). Chi si ubriaca di vino, barcolla e tentenna; chi si inebria dello Spirito, è radicato in Cristo. Perciò è un'eccellente ebbrezza, perché produce la sobrietà della mente (Ambrogio, I sacramenti, V, 3, 17: SAEMO 17, p.109).

 

L'ebbrezza comporta scelte esigenti: leggere le Scritture e conformarsi a Cristo nell'eucaristia; e si esprime poi nella vita fatta obbediente, fatta carità fatta adesione alla volontà di Dio.

La sobria ebbrezza coincide quindi con il dono della liberazione pasquale, per cui non c'è più amarezza, non c'è contaminazione di peccato, c'è la remissione dei peccati, c'è la fede, la novità di vita la gioia, c'è lo Spirito Santo vivente e operante e Cristo che salva.

L'ebbrezza si compie nel riconoscere questo tesoro segreto dello Spirito santo e del Figlio, realmente presente nel sacramento e nella parola e nella vita obbediente del discepolo.

 

5. Il profumo che inebria

Con il simbolo del profumo viene tratteggiata la meravigliosa esperienza della sobria ebbrezza; il dono di grazia, l'annuncio, la comunione con Cristo.

 

C'è un albero (il balsamo stillante), che, se lo si punge, emette un unguento... Se l'albero non è inciso, non profuma con altrettanta fragranza; quando invece è stato punto a regola d'arte, allora stilla una lacrima. Come anche Cristo, appeso alla croce, in quell'albero di tentazione versava lacrime sul popolo, per lavare i nostri peccati, e dalle viscere della sua misericordia spandeva unguento, dicendo: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Allora, dunque, appeso a quell'albero, fu punto dalla lancia e ne uscirono sangue ed acqua più dolci d'ogni unguento, vittima gradita a Dio, spandendo per tutto il mondo il profumo della santificazione... Allora Gesù, trafitto, sparse il profumo del perdono dei peccati e della redenzione. Infatti, diventato uomo da Verbo che era, era stato ben limitato, ed è diventato povero, pur essendo ricco, per arricchirci con la sua miseria; era potente, e si è mostrato come un miserabile, tanto che Erode lo disprezzava e lo derideva; sapeva scuotere la terra, eppure restava attaccato a quell'albero; chiudeva il cielo in una morsa di tenebre, metteva in croce il mondo, eppure era stato messo in croce; reclinava il capo, eppure ne usciva il Verbo; era stato annullato (exinanitus: cfr. Fil 2,7), eppure riempiva ogni cosa. E disceso Dio, è salito uomo; il Verbo è diventato carne perché la carne potesse rivendicare a sé il trono del Verbo alla destra di Dio; era tutto una piaga, eppure ne fluiva unguento (Ambrogio, Commento al Salmo 118, III, 8: SAEMO 9, pp.131,133).

 

Ambrogio medita qui sulla kenosis (l'umiliazione) di Cristo, "obbediente sino alla morte" (Fil 2,7).

Il profumo è allora il dono di Cristo nella sua Pasqua: il profumo di una morte in cui Cristo effonde totalmente sé stesso, il profumo di una sepoltura avvolta in aromi per contrastare la corruzione della morte, ma che si manifesta nel profumo di vita della risurrezione.

Nell'insegnamento di Ambrogio, sempre al dono pasquale corrisponde una risposta di vita.

Lo esprime questo brano, dove compare il profumo della fede e un cenno significativo alla carità:

 

Il perfetto profumo della fede: questo è il profumo che l'anima emana quando incomincia ad aprire a Cristo. Dapprima riceve il profumo della sepoltura del Signore e crede che la sua carne non ha sperimentato la corruzione né si è avvizzita come per un odore di morte, ma è risorta cosparsa del profumo di quel fiore eterno e sempre rigoglioso. Come poteva corrompersi anche solo nella carne colui il cui nome è "unguento che si effonde" (Cant 1,3)? Ha annientato sé stesso per effondere il suo profumo verso di te. Questo unguento è sempre esistito, ma era presso il Padre, era nel Padre. Olezzava solo per gli angeli e gli arcangeli, come se fosse contenuto nel vaso del cielo. Il Padre aprì la bocca e disse: "Ecco ti ho costituito come testamento del mio popolo, come luce delle genti, per essere causa di salvezza fino ai confini della terra" (Is 49,6). Discese il Figlio, tutte le cose furono piene del nuovo profumo del Verbo. Il cuore del Padre emise il buon Verbo, il Figlio ne fu infiammato, lo Spirito Santo lo esalò e si diffuse nei cuori di tutti: "infatti si è diffusa la carità di Dio nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo" (Rom 5,5). Il Figlio di Dio dapprima teneva racchiuso il profumo nel proprio corpo come in un vaso, attendendo il proprio tempo... Venne il momento e aprì la bocca, sparse (exinanivit) l'unguento quando la potenza usciva da lui (cfr. Mc 5,30). Questo profumo si è sparso (exinanitum est) sui giudei ed è stato raccolto dai pagani; si è sparso in Giudea e olezzò su tutta la terra. Di questo profumo fu cosparsa Maria e da vergine concepì, da vergine partorì il buon odore, il Figlio di Dio... Ogni giorno è sparso questo profumo e mai si esaurisce. Prendi il tuo vaso, o vergine, e avvicinati perché tu possa essere ricolma di questo profumo (Ambrogio, La verginità, 11, 61-66: SAEMO 14,/II, pp.55,57).

 

Come dice Paolo (2Cor 2,14-16), siamo chiamati a diventare "per Dio il buon profumo di Cristo".

Infine un testo che identifica il profumo/unguento (quello che unse il Messia) con lo Spirito Santo:

 

Molti hanno pensato che 1o Spirito Santo non sia altro che l'unguento con cui fu unto Cristo. Ora, con ragione è unguento, poiché fu chiamato "olio di letizia" (Sal 44,8), olio odoroso di una mistura di moltissime grazie, con cui Dio Padre unse quel vero "principe dei sacerdoti" (cfr. Ebr 4,14), il quale... fu pieno della virtù dello Spirito Santo ad opera del Padre. Questo è l'"olio di letizia", di cui disse il profeta: "Ti unse Dio, il tuo Dio, con l'olio di letizia a preferenza di tutti i tuoi pari" (Sal 44,8). E giustamente Pietro scrive che Cristo fu unto con lo Spirito, come puoi leggere: "Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea dopo il battesimo che Giovanni predicò, vale a dire come Dio unse Gesù di Nazaret con lo Spirito Santo" (At 10,37-38)...

E non c'è niente di strano se possiede l'"olio di letizia" colui che fece esultare quelli già destinati alla morte, liberò il mondo dalla tristezza, eliminò il fetore della lugubre morte. E per questo l'apostolo dice: "Noi siamo infatti per Dio il profumo di Cristo" (2Cor 2,15), indicando evidentemente di aver parlato delle cose spirituali. E anche lo stesso Figlio di Dio, quando dice: "Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo motivo mi unse" (Lc 4,18), intende l'unguento spirituale. Perciò l'unguento di Cristo è lo Spirito (Ambrogio, Lo Spirito Santo, I, 9, 100-101,103: SAEMO 16, pp.127,129).

 

Lo Spirito unge e profuma Cristo, e Cristo è il sacerdote, che si offre come vittima gradita a Dio; lo Spirito unge e profuma i discepoli e così anch'essi sono sacerdoti, offerta gradita a Dio.

Lo ricordava già la pagina dall'Esortazione alla verginità, 94 (SAEMO 14/II, p.271) già citata:

 

Sia per te come profumo di santità ogni sacrificio che ti viene offerto in questo tempio con fede integra e pio zelo. E mentre guardi quella vittima di salvezza, per la quale è cancellato il peccato di questo mondo, rivolgi il tuo sguardo su queste vittime di pia castità e proteggile con il tuo incessante aiuto, perché siano per te vittime accette in soave odore (cfr Ef 5,2), gradite a Cristo Signore.

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